Del gigantesco iceberg che è il mondo del non profit, il fundraising è una delle punte emerse visibili anche da chi di questo mondo non ha una conoscenza diretta.
Si tratta di un tema che ai nostri clienti sta molto a cuore e che è strettamente connesso al mondo assicurativo: in un buon piano di protezione, le attività che generano reddito sono infatti le prime a dover essere tutelate. Il punto di partenza per l'analisi di ogni nuovo cliente, allora, è solitamente proprio l'attività di raccolta fondi.
È vero anche che in Italia la maggior parte delle organizzazioni non profit ha entrate complessive inferiori ai 100.000 €, un volume di risorse abbastanza limitato per mettere in piedi dei veri e propri uffici preposti esclusivamente a queste attività. Motivo per cui, in moltissime realtà che assicuriamo, il fundraising vero e proprio vive in simbiosi con altre attività. E più che essere considerato un'area "aziendale", costituisce una preoccupazione che agita quasi esclusivamente le notti di chi si occupa di amministrazione e ha il compito generale di "trovare i soldi".
In molte realtà, il successo di questa missione è strettamente legato alla personalità e alle relazioni che i membri del consiglio direttivo hanno saputo costruire nel tempo con aziende ed enti pubblici, mentre le realtà che fanno del fundraising un asset organizzato in maniera sistematica e stabile sono senz'altro meno.
Eppure quello dei finanziamenti è un tema che emerge costantemente dalle chiacchierate con i nostri clienti.
Questo perché, innanzitutto, in tempi di stagnazione economica i finanziamenti pubblici si stanno riducendo per molte realtà. È un problema che conosciamo molto bene perché, se in queste situazioni la prima tentazione di un amministratore è quella di tagliare le assicurazioni, il nostro compito diventa quello di riprogettare la spesa assicurativa senza rinunciare a niente. Rinunciare a una copertura per mancanza di soldi significa aggiungere fragilità alla fragilità.
Ma il tema della raccolta fondi sta diventando sempre più attuale anche per un altro motivo. Un motivo che è connesso al concetto di concorrenza, un concetto che non tutti collegano istintivamente al non profit.
Qualche tempo fa abbiamo chiesto a una nostra cliente, attiva con la sua Fondazione fin dalla fine degli anni '70, se avesse notato un cambiamento nel suo pubblico, se cioè ritenesse il pubblico di oggi più o meno sensibile rispetto agli anni in cui aveva iniziato.
La sua risposta fu che il pubblico non è più o meno sensibile di un tempo, ma senz'altro è più distratto: oggi una persona viene colpita da molte più richieste di donazione rispetto a quanto succedeva un tempo. Il risultato è che è più difficile attirare l'attenzione di un popolo di potenziali donatori che deve scegliere a chi dare un proprio contributo.
Per questo ci sentiamo di riproporre qui alcuni degli interrogativi chiave del Festival del Fundraising 2019, un evento di portata internazionale che è giunto ormai alla sua XII edizione. Questi interrogativi hanno a che fare con il modo in cui il non profit viene percepito oggi all'esterno.
1. Conviene concentrare in una sola grande non profit tutti i donatori?
2. Pensi che sia giusto essere pagati per lavorare nel non profit?
3. Ti senti uno scocciatore a chiedere soldi?
4. Non sarebbe meglio se ognuno donasse direttamente a chi ha bisogno senza passare dalle organizzazioni non profit?
5. 15 € donati fanno la differenza?
6. Dobbiamo rassegnarci a vivere in un mondo di problemi ineliminabili?
Non sono interrogativi di poco conto e ognuno di essi meriterebbe una trattazione a parte, oltre che una pluralità di risposte potenzialmente infinita. Sono questioni che indubbiamente hanno a che fare, oltre che con ragioni di ordine economico, anche con temi identitari: si tratta di stabilire a priori chi si è, perché si chiedono quei soldi e che cosa si offre in cambio.
Se vuoi condividere la tua opinione, scrivici: saremo lieti di sentire la tua storia e, se possibile, di raccontarla.
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